CATALOGNA SCISSIONISTA A METÀ: E ADESSO CHE SUCCEDE?
MADRID. Nel suo ultimo libro,
una raccolta di corsivi politici illustrata come un burlesque satirico,
Arcadi Espada appare disegnato con parruccona settecentesca. Tranquilli:
non è nostalgia per l'Ancien Régime, ma giusto un omaggio scherzoso a
Daniel Defoe e ai suoi resoconti della peste che decimò Londra negli
anni 1664-66. Anche gli interventi di Espada parlano di un contagio.
Però luoghi, tempi e gravità del morbo sono tutt'altri. Siamo in
Catalogna, ai giorni nostri, e quello che lui analizza come un flagello è
il redivivo nazionalismo separatista. Columnist urticante,
nato a Barcellona nel 1957 Arcadi Espada è una bestia nera del
neo-indipendentismo. Per rendersene conto basta farsi una passeggiatina
sul web. Tra gli appellativi di cui viene insignito da chi non lo
sopporta, sinvergüenza svergognato, è il più riferibile. Per
gli estimatori, che pure non mancano, Espada è invece un polemista
iconoclasta nel solco di George Orwell o Christopher Hitchens, o di
Indro Montanelli, del quale ha curato un'antologia spagnola di scritti.
Dal 10 gennaio il governo autonomo catalano ha un nuovo presidente, l'ex filologo e giornalista Carles Puigdemont. Ma la sua nomina è stata un parto travagliato. Le elezioni regionali di settembre non sono sfociate nel plebiscito pro-separazione su cui puntava il blocco nazionalista guidato dal governatore uscente Artur Mas. Gli scissionisti hanno prevalso in seggi ma non in voti. E per la maggioranza assoluta al Parlament di Barcellona il liberale Mas ha dovuto corteggiare la Cup, sinistra radicale indipendentista, che dopo mesi di trattative inconcludenti ha preteso e ottenuto il suo sacrificio a favore del più gradito Puigdemont. Tutto mentre la Spagna annaspava nel vuoto politico in cui l'avevano gettata le legislative di dicembre: nessun partito in grado di governare da solo, e alleanze introvabili. Ma ora in Catalogna a che punto siamo? «Il più oscuro» taglia corto Espada. «L'accordo con gli antisistema della Cup – gente che vuole l'uscita dall'euro o la nazionalizzazione delle banche – rivela ormai uno stato di cose che sconfina nella surrealtà. Siamo al circo. Si è toccato il fondo. Più in basso non si può scendere».
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Dal 10 gennaio il governo autonomo catalano ha un nuovo presidente, l'ex filologo e giornalista Carles Puigdemont. Ma la sua nomina è stata un parto travagliato. Le elezioni regionali di settembre non sono sfociate nel plebiscito pro-separazione su cui puntava il blocco nazionalista guidato dal governatore uscente Artur Mas. Gli scissionisti hanno prevalso in seggi ma non in voti. E per la maggioranza assoluta al Parlament di Barcellona il liberale Mas ha dovuto corteggiare la Cup, sinistra radicale indipendentista, che dopo mesi di trattative inconcludenti ha preteso e ottenuto il suo sacrificio a favore del più gradito Puigdemont. Tutto mentre la Spagna annaspava nel vuoto politico in cui l'avevano gettata le legislative di dicembre: nessun partito in grado di governare da solo, e alleanze introvabili. Ma ora in Catalogna a che punto siamo? «Il più oscuro» taglia corto Espada. «L'accordo con gli antisistema della Cup – gente che vuole l'uscita dall'euro o la nazionalizzazione delle banche – rivela ormai uno stato di cose che sconfina nella surrealtà. Siamo al circo. Si è toccato il fondo. Più in basso non si può scendere».
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